Immobili – Le regole per dedurre i costi e detrarre l’Iva per i servizi e le utenze delle abitazioni usate promiscuamente per business e per motivi personali

ArticoloIl Sole 24 OreNewsImmobili – Le regole per dedurre i costi e detrarre l’Iva per i servizi e le utenze delle abitazioni usate promiscuamente per business e per motivi personali

Molti sono i servizi e le utenze che gli imprenditori individuali e i professionisti acquistano con la partita Iva per le abitazioni, che utilizzano promiscuamente per la loro attività economica e per motivi personali, ma spesso possono “recuperare” fiscalmente i relativi costi e l’Iva solo in parte.

Locazione Tralasciando il caso dell’acquisto, i costi di locazione delle abitazioni (come, del resto, anche degli uffici) utilizzate promiscuamente per l’esercizio dell’impresa, arte o professione e per «l’uso personale o familiare dell’imprenditore» o del professionista, sono deducibili dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo per il 50% del canone, a patto che il contribuente non disponga di altro immobile (ovunque per le imprese e nel medesimo Comune per i professionisti) «adibito esclusivamente all’esercizio dell’impresa» o dell’arte o professione (articoli 54 e 64, Tuir). L’eventuale Iva, applicata su opzione, sulla locazione di abitazioni non può essere detratta, neanche al 50% (articolo 19-bis1, comma 1, lettera i, Dpr 633/72).

Deduzione delle utenze I professionisti possono dedurre al 50% le spese per i servizi relativi agli “immobili utilizzati promiscuamente” (sia abitazione, che ufficio), a prescindere dai metri quadri effettivamente utilizzati per l’attività, a condizione che non dispongano nello stesso Comune di un altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione (articolo 54, comma 3, Tuir). Si tratta di una deduzione forfettaria del 50% prevista dalla norma dal reddito di lavoro autonomo, che ha la duplice finalità di semplificare i calcoli e di evitare l’insorgere di contenziosi sulla distinzione dell’utilizzo delle due zone. Anche se si può dimostrare l’utilizzo professionale in una zona superiore a quella del 50%, forfetariamente stabilita dalla norma, «quest’ultima non è derogabile» (circolare 35/E/2012, paragrafo 2.2). Per il reddito d’impresa , invece, nel Tuir manca una disposizione che disciplini il trattamento delle utenze relative agli immobili utilizzati promiscuamente. Secondo la vecchia risoluzione del 7 novembre 1975, n. 9/50091, però, le spese di riscaldamento di immobili adibiti sia «all’attività commerciale che alla sfera privata dell’imprenditore», si possono dedurre per la parte di costo che riguarda i locali con uso commerciale, individuati con una ripartizione proporzionale in base di dati certi e obiettivamente comprovanti, come ad esempio il numero degli « elementi radianti ». Un altro metodo di ripartizione tra area business e area privata può essere quello basato sui metri quadri o cubi dell’immobile, utilizzabile, per esempio, per le spese di energia elettrica e gas per il riscaldamento a pavimento, oltre che per le spese condominiali e di pulizia. Idem per l’acqua.

Detrazione dell’Iva Ai fini della detrazione dell’Iva, in generale, per determinare la quota indetraibile relativa ai beni e servizi in parte utilizzati per fini privati vanno applicati «criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e servizi acquistati» (articolo 19, comma 4, Dpr 633/72). Questa regola vale anche per il trattamento Iva delle utenze delle abitazioni, in quanto scollegate al tipo di immobile a cui si riferiscono (si veda Guida normativa del 19 aprile 2006) e non si applica l’indetraibilità oggettiva dell’articolo 19-bis1, comma 1, lettera i), Dpr 633/72. Se l’immobile (anche abitativo) è ad uso promiscuo, per la ripartizione delle spese, ad esempio, di riscaldamento, un “criterio oggettivo e coerente può essere costituito dalla cubatura dei rispettivi locali” (circolare 24 dicembre 2007, n. 328, paragrafo 3.2)

Bolletta elettrica con Iva al 22% Se l’energia elettrica, acquistata, tramite la propria partita Iva, da un imprenditore individuale o da un professionista, viene destinata, anche solo in parte, allo svolgimento dell’attività economica, non è possibile considerarla «ad uso domestico», quindi, deve essere chiesta l’applicazione dell’aliquota Iva ordinaria del 22% (non del 10%) sull’intera fornitura e non solo sulla parte business. Solo con l’applicazione dell’aliquota Iva del 22%, poi, è possibile detrarne una parte (con «criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e servizi acquistati», ai sensi dell’articolo 19, comma 4, Dpr 633/72) e dedurre una parte del costo (50% per i professionisti e in base ai metri quadri business per le imprese), se l’utenza è intestata alla partita Iva, in quanto l’aliquota ridotta del 10% presuppone l’esclusivo “uso domestico” dell’energia elettrica. Nei casi di contratti per uso non domestico residenziale, poi, il canone Rai non viene addebitato nella fattura dell’energia, neanche se la residenza del titolare della partita Iva coincide con il luogo dell’utenza elettrica business. Se i titolari di partita Iva,modificano il contratto di fornitura elettrica da domestico a business (con la conseguente variazione anche delle relative tariffe), il canone Rai va, comunque, pagato con il bollettino postale, tranne nei casi in cui la persona fisica non abbia alcun apparecchio televisivo. Ai fini Iva, le cessioni di energia elettrica sono assoggettate all’aliquota Iva ordinaria del 22% oa quella ridotta del 10%, solo se la cessione di energia viene effettuata “per uso domestico” o per altri usi particolari (punto 103, Tabella A, Parte III, dpr n. 633/1972). Nei contratti di servizio di energia, l’uso domestico non si realizza con la destinazione dei servizi ad ambienti diversi da quelli familiari come, ad esempio, negli uffici, ma si ha nelle somministrazioni rese a consumatori finali, che impiegano l’energia elettrica nella propria abitazione, a carattere familiare e non la utilizzano «nell’esercizio di imprese o per effettuare prestazioni di servizi, rilevanti ai fini Iva, anche se in regime di esenzione» (circolare n. 273/E/98). Se l’utenza è ad uso promiscuo, l’aliquota Iva è del 22% «sull’intera fornitura», perché questa percentuale ordinaria può essere derogata solo da una disciplina speciale espressa (come, ad esempio, per i beni e i servizi indicati nella Tabella A, dpr n. 633/1972). Non può essere applicata l’Iva del 10%, quindi, alle cessioni di energia elettrica utilizzata promiscuamente per usi domestici e non (circolare n. 82/E/99). L’aliquota agevolata, però, si può applicare se viene installato un apposito contatore dell’uso dell’energia somministrata, che consenta di determinare in modo oggettivo il consumo di energia riferibile all’uso domestico e/o a quello business (risoluzione n. 150/E/2004). Quando nella fattura viene applicata solo l’aliquota Iva del 10%, quindi, l’agevolazione spetta perché è stato dichiarato l’utilizzo esclusivamente domestico dell’energia elettrica, pertanto, anche se la persona fisica, imprenditore o professionista, ha comunicato la partita Iva alla società elettrica e quest’ultima emette un documento Iva indicando, sia il codice fiscale che la partita Iva del cliente, non è possibile detrarre la relativa imposta e dedurre il relativo costo (e l’eventuale canone Rai), perché manca l’inerenza della spesa.

 

Approfondimento dello Studio De Stefani all’articolo di Luca De Stefani su Il Sole 24 Ore del 5 ottobre 2016

 

Richiedi una consulenza personalizzata