Guida alla Contabilità e Bilancio – Nota di accredito per recupero dell’Iva versata

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Anche per i fallimenti aperti nel 2017, come in passato, i curatori devono registrare nel registro Iva acquisti le note di accredito che ricevono dai cedenti di beni o dai prestatori di servizi, ma la maggiore Iva che risulta a debito nei confronti dell’Erario non va riportata «nel riparto finale, ormai definitivo», quindi, non va versata. Questa registrazione nel registro Iva acquisti, però, consentirà all’Amministrazione finanziaria di richiedere il suo «credito eventualmente esigibile, nei confronti del fallito», nel caso in cui questo ritornasse «in bonis».

Il chiarimento è contenuto nella C.M. 7 aprile 2017, n. 8/E, risposta 13.1, la quale ha confermato che, anche per le procedure concorsuali aperte dal 2017 in poi, si applicano le stesse regole previste per il passato, in quanto le novità introdotte dall’art. 1, co. 126 e 127, L. 28 dicembre 2015, n. 208 (infruttuosità a partire dall’inizio della procedura e non registrazione da parte della procedura della nota di accredito ricevuta) non sono mai entrate in vigore, in quanto sono state sterilizzate, dal 1° gennaio 2017, dall’art. 1, co. 567, L. 11 dicembre 2016, n. 232.

Note di accredito

Le note di accredito (o di variazione in diminuzione) possono essere emesse solo dal soggetto che ha posto in essere l’operazione economica rilevante ai fini dell’Iva, cioè dal cedente del bene o dal prestatore del servizio e non dal cessionario o dal committente (C.M. 17 maggio 2000, n. 98/E, risposta 3.3.2). Le «note di credito», invece, possono essere emesse «anche dal cliente (cessionario o committente) su incarico del cedente o prestatore per suo conto» (R.M. 7 febbraio 2008, n. 36/E, paragrafo 4.4).

Le note di accredito (come quelle di credito) possono essere emesse con la relativa Iva, quindi, recuperando quella a debito delle relative fatture attive, quando l’operazione «viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile˃˃

  1. senza limiti di tempo (quindi, non necessariamente entro un anno dall’operazione), ai sensi dell’art. 26, co. 2, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 :
  2. a causa di «dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili» (ad esempio, la risoluzione per il reso di merce difettosa o non conforme, in esecuzione di un’apposita clausola contrattuale);
  3. in conseguenza «dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente» (ad esempio, gli sconti contrattuali condizionati da obiettivi);
  4. «per mancato pagamento in tutto o in parte a causa» di:

procedure esecutive individuali rimaste infruttuose;

procedure concorsuali, accordi di ristrutturazione dei debiti omologati (art. 182-bis, R.D. 16 marzo 1942, n. 267) o piani attestati pubblicati nel registro delle imprese (art. 67, co. 3, lett. d, Legge fallimentare);

  1. entro il termine di «un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile» (data che può essere diversa rispetto a quella dell’eventuale fattura differita), se gli eventi in precedenza «indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti» (ad esempio, un atto di risoluzione consensuale del contratto o abbuoni o sconti pagati per un sopravvenuto accordo tra le parti) (art. 26, co. 3, D.P.R. 633/1972);
  2. entro il termine di «un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile», in caso di «rettifica di inesattezze della fatturazione» per operazioni inesistenti o indicate in misura superiore a quella reale (artt. 26, co. 3, e 21, co. 7, D.P.R. 633/1972 ).

Reso di merce difettosa e risoluzione per una clausola contrattuale

Rientra tra le risoluzioni dell’art. 26, co. 2, D.P.R. 633/1972 (con l’emissione di una nota di accredito con Iva, senza alcun limite temporale) il reso di beni «riconosciuti difettosi e ritirati dal produttore medesimo» (merce non conforme), in esecuzione di un’apposita «clausola contrattuale».Siccome la possibilità della restituzione dei beni al cedente è prevista contrattualmente non si rende applicabile la limitazione temporale dell’anno dall’effettuazione dell’operazione (R.M. 16 dicembre 1975, n. 502289). Inoltre, non è necessario riportare nella nota di accredito gli estremi della fattura originaria emessa nel particolare caso in cui i due contraenti non siano in grado di individuare la specifica fattura comprendente il singolo prodotto restituito al produttore cedente e tenuto conto, altresì che trattasi di prodotti con marchio di fabbrica venduti esclusivamente e direttamente dal produttore al rivenditore. Quindi, a seguito della restituzione dei prodotti stessi in esecuzione di apposita clausola contrattuale, può essere emessa la nota di accredito con Iva (anche dopo l’anno), prescindendo dal formale collegamento tra la fattura originaria e la nota di accredito emesse dal cedente (R.M. 502289/1975).

La nota di accredito con Iva, quindi, può essere emessa anche dopo l’anno dall’originaria operazione di vendita, ai sensi dell’art. 26, co. 2, D.P.R. 633/1972, solo se la facoltà di resa dei beni è configurabile come una clausola risolutiva, anche parziale, apposta al contratto di compravendita, avente natura potestativa di una delle parti, cioè, dipendente dalla sola volontà-facoltà di una delle parti (cessionario) e non da un sopravvenuto accordo fra le parti, cioè non con il consenso anche del cedente (R.M. 31 marzo 2009, n. 85/E).

Reso di merce per sopravvenuta risoluzione consensuale

Invece, se il riconoscimento della non conformità delle merci all’ordine (seguito da reso o meno) dipende da un sopravvenuto accordo tra le parti, ad esempio, da un atto di sopravvenuta risoluzione consensuale, vale il limite di un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile, per poter emettere la fattura con Iva (artt. 26, co. 3, e 21, co. 7, D.P.R. 633/1972). Il reso della merce, consensuale e sopravvenuto, dopo un anno dalla vendita, quindi, è senza Iva. Pertanto, per questi resi potrebbe essere preferibile emettere una fattura di vendita ex novo.

Sconti contrattuali condizionati da obiettivi

Un’altra ipotesi di variazione senza limite temporale, quindi, di possibile emissione della nota di accredito con Iva anche dopo un anno dall’effettuazione dell’operazione ai sensi dell’art. 26, co. 2, D.P.R. 633/1972, è quella che si verifica per effetto di «abbuoni o sconti previsti contrattualmente». Questi abbuoni o sconti, quindi, devono essere la conseguenza di una clausola prevista dal contratto originario, ad esempio, per il raggiungimento di una specifica quantità di acquisti (tipicamente per la grande distribuzione).

Sconti non contrattuali, ma sopravvenuti

Se gli abbuoni o gli sconti sono pagati «in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti », invece, la nota di accredito ha l’Iva solo se viene emessa entro un anno dall’operazione originaria, altrimenti, se viene emessa dopo, non ci va l’Iva. Le variazioni in diminuzione di prezzo concesse per «consuetudine commerciale», in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti, pertanto, possono essere effettuate con Iva entro il termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile originaria, ai sensi dell’art. 26, co. 3, D.P.R. 633/1972 (R.M. 7 febbraio 2008, n. 36/E, paragrafo 4.4). Dopo l’anno, non ci va l’Iva. Lo stesso limite di un anno si applica anche per gli sconti concessi al cliente a seguito della sua adesione alla campagna promozionale, se questa sua adesione è considerata «un sopravvenuto accordo fra le parti» (R.M. 10 aprile 2008, n. 147/E).

Prestazioni di servizio

Gli «abbuoni o sconti previsti contrattualmente » (nota di accredito con Iva anche dopo l’anno) non vanno confusi, però, con le prestazioni di servizio che la Gdo fattura ai fornitori, con Iva ordinaria (art. 3, D.P.R. 633/1972 ), ad esempio, per attività di promozione o di marketing dei beni nel supermercato. In questo caso, si tratta di veri e propri corrispettivi per specifiche obbligazioni di fare (RR.MM. 17 settembre 2004, n. 120/E e 7 febbraio 2008, n. 36/E).

Premi di fedeltà decisi autonomamente da una parte

Gli «abbuoni o sconti previsti contrattualmente» (nota di accredito con Iva anche dopo l’anno) non vanno confusi neanche con i cosiddetti «premi di fedeltà» decisi autonomamente dal venditore (a volte, dall’acquirente), che non essendo contrattualmente previsti non possono essere con Iva, ma sono operazioni escluse da Iva, ai sensi dell’art. 2, co. 3, lett. a), D.P.R. 633/1972 («cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro»). Questi «premi di fedeltà» possono essere erogati dal venditore in denaro, come un «contributo autonomo riconosciuto indistintamente al raggiungimento di un determinato fatturato o comunque per incentivarlo a futuri acquisti» (Cassazione 5 marzo 2007, n. 5006; 30 marzo 2012, n. 5208; 29 maggio 2013, n. 13312; 8 ottobre 2014, n. 21182; 20 novembre 2015, n. 23782 e 30 settembre 2015, n. 19412) ovvero sotto forma di ristorno differito del prezzo di vendita. In quest’ultimo caso, il venditore corrisponde all’acquirente somme di denaro denominati «premi di fedeltà», quale ristorno del prezzo originariamente pattuito e corrisposto (R.M. 4 dicembre 1986, n. 416531). Questi «premi di fedeltà», quindi, sono esclusi da Iva, ai sensi dell’art. 2, co. 3, lett. a), D.P.R. 633/1972, quindi, non vi è l’obbligo di emettere la nota di accredito.

 

Mancato pagamento

Per il «mancato pagamento in tutto o in parte» della fattura, la norma concede la possibilità di emettere la nota di accredito con l’Iva e senza limite di tempo, solo «a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato» (art. 182-bis, L.f.) o di un piano attestato, pubblicato nel registro delle imprese (art. 67, co. 3, lett. d), L.f.) (art. 26, co. 2, D.P.R. 633/1972).

Solo in questi casi, infatti, si ha una ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore, in quanto il «mancato pagamento è ininfluente» ai fini del recupero dell’Iva. È necessario che il creditore abbia esperito tutte le azioni volte al recupero del proprio credito e che non abbia trovato soddisfacimento (R.M. 16 maggio 2008, n. 195/E).

Procedura esecutiva individuale

Per le procedure esecutive individuali, in forma generica, la semplice notificazione del titolo esecutivo, la formazione del precetto e la sua notificazione con esito negativo sono solo fasi precedenti al pignoramento e non provano infruttuosità dell’espropriazione forzata, la quale invece ha inizio solo con il pignoramento (art. 491, Codice di procedura civile e C.M. 17 aprile 2000, n. 77/E). Queste fasi, infatti, non sono sufficienti a rispettare il presupposto richiesto dall’art. 26, co. 2, D.P.R. 633/1972, dell’espropriazione forzata infruttuosa. Dopo la notifica del precetto, infatti, deve iniziare l’esecuzione forzata e questa deve avere esito negativo. Solo «dal definitivo accertamento dell’infruttuosità dell’esecuzione, documentato dagli organi della procedura», quindi, spetta la facoltà di eseguire la variazione in diminuzione dell’Iva, con emissione della nota di accredito (R.M. 16 maggio 2008, n. 195/E).

Secondo l’art. 26, co. 12, D.P.R. 633/1972, infatti, una «procedura esecutiva individuale» si considera in ogni caso infruttuosa:

  1. nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
  2. nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
  3. nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.

Queste tre ipotesi elencate definiscono il momento a partire dal quale la nota di accredito può essere emessa, per recuperare l’Iva. Il fatto che la norma dica «in ogni caso» sembrerebbe lasciare la possibilità di emettere la nota anche in presenza di altri sintomi di infruttuosità della procedura. Si ritiene, però, che la procedura esecutiva non debba considerarsi infruttuosa nel caso in cui il debitore risulti irreperibile o deceduto.

Procedura esecutiva individuale e procedura concorsuale

Considerando che la norma pone come alternativa la condizione della procedura esecutiva infruttuosa da quella della procedura concorsuale infruttuosa, se dopo aver avuto esito negativo dall’esecuzione forzata, il debitore è sottoposto ad una procedura concorsuale, la nota di accredito può comunque essere emessa. Viceversa, se prima di poter concludere la procedura esecutiva inizia una procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ecc.), la prima condizione non può più essere rispettata e si deve attendere il momento della procedura, che è rilevante ai fini dell’emissione della nota di accredito, (si vedano le CC.MM. 17 aprile 2000, n. 77/E; 18 marzo 2002, n. 89/E e Il Sole 24 Ore del 25 ottobre 2013 e del 24 agosto 2012).

Procedure concorsuali

La nota di accredito può essere emessa con Iva, anche dopo un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile, per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali, accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis, L.f.) o piani attestati (art. 67, co. 3, lett. d), L.f.). Naturalmente, la nota di accredito riguarderà solo la parte di corrispettivo che è rimasta infruttuosa al momento della sua emissione.

Per individuare il momento dell’infruttuosità della procedura concorsuale (a partire dal quale può essere emessa la nota di accredito per recuperare l’Iva) valgono ancora le indicazioni fornite dalla C.M. 17 aprile 2000, n. 77/E e dalla R.M. 12 ottobre 2001, n. 155/E.

Nella procedura fallimentare, ad esempio, per individuare il momento dell’infruttuosità della procedura, a partire dal quale può essere emessa la nota di accredito per recuperare l’Iva, occorre fare riferimento alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto, oppure, ove non vi sia stato, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso. Vale ancora la regola dettata dalla R.M. 16 maggio 2008, n. 195/E, secondo la quale il diritto al recupero dell’Iva con la nota di accredito è subordinato all’avvenuta insinuazione al passivo fallimentare, se e nella misura in cui, all’esito della procedura, il relativo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto.

Per accertare l’infruttuosità nel concordato fallimentare, invece, occorre attendere il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato stesso, mentre nel concordato preventivo occorre fare riferimento non solo al decreto di omologazione del concordato che, ai sensi dell’art. 181, L.f. chiude il concordato, ma anche al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato (C.M. 17 aprile 2000, n. 77/E). Tempi destinati a dilatarsi ulteriormente se il concordato sfocia nel fallimento. Infatti, se questi adempimenti non vengono adempiuti ovvero se, per comportamenti dolosi, viene dichiarato il fallimento del debitore, la nota di accredito può essere emessa, solo dopo che il piano di riparto dell’attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, dopo la scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento (C.M. 7 aprile 2017, n. 8/E, risposta 13.2).

Per gli accordi di ristrutturazione del debito e i piani attestati, la nota di accredito con Iva può essere emessa fin dal momento d’apertura della procedura, che coincide rispettivamente con l’omologa dell’accordo e con la pubblicazione nel registro delle imprese.

Procedure concorsuali e Iva a debito

Nei fallimenti, a fronte del diritto alla detrazione per chi emette la nota di accredito, «sorge in capo al fallito, ossia al curatore, l’obbligo di registrare la variazione in aumento dell’imposta» nei registri Iva, consentendo così all’Amministrazione finanziaria «l’eventuale recupero dell’indebito nei confronti del contribuente fallito» nel caso in cui questo ritorni «in bonis» (RR.MM. 18 marzo 2002, n. 89/E e 12 ottobre 2001, n. 155/E).

In pratica, gli organi della procedura concorsuale devono registrare la nota di accredito che ricevono nel registro Iva acquisti, aumentando l’Iva a debito, ma ciò non determina l’inclusione del relativo importo a debito verso l’Amministrazione finanziaria «nel riparto finale, ormai definitivo, ma consente di evidenziare» il debito Iva nei confronti del fallito tornato in bonis. Quindi, non sussistendo il debito a carico della procedura, il curatore fallimentare non è tenuto ad ulteriori adempimenti dichiarativi o di versamento (C.M. 7 aprile 2017, n. 8/E, risposta 13.1).

Questa regola vale anche per i concordati preventivi, quindi, il ricevimento della nota di accredito dalla procedura non comporta il versamento dell’Iva, considerando gli effetti estintivi propri del concordato preventivo. La registrazione della nota d’accredito dalla procedura, infatti, non comporta, per il debitore concordatario, l’obbligo di rispondere verso l’Erario di un debito sul quale si sono già prodotti gli effetti estintivi del concordato preventivo. Il debitore concordatario, quindi, non deve riversare l’Iva a debito indicata nelle note di variazione che riceve (R.M. 17 ottobre 2001, n. 161/E).

Questa regola, invece, non dovrebbe valere per gli accordi di ristrutturazione del debito e i piani attestati.

Rettifica di inesattezze della fatturazione

Va ricordato, infine, che è sempre possibile emettere, entro un anno dalla effettuazione dell’operazione, la nota di accredito per «rettifica di inesattezze della fatturazione» (art. 26, co. 3, D.P.R. 633/1972). In questo caso, però, essendo in presenza di uno storno di fattura emessa a fronte di «operazioni inesistenti», la nota va motivata adeguatamente, non essendo sufficiente la «causale generica “errata imputazione”» (sentenza Ctp Bergamo 28 maggio 2013, n. 118).

Nota di accredito ai soli fini Iva

Solitamente la nota di accredito che viene emessa, ai sensi dell’art. 26, co. 2, D.P.R. 633/1972, rileva «ai soli fini dell’Iva» (C.M. 17 aprile 2000, n. 77/E, paragrafo 3) e riporta questa dicitura: «nota di accredito Iva emessa per definita infruttuosità della procedura concorsuale o della procedura esecutiva individuale, ai sensi dell’articolo 26, comma 2, dpr n. 633/72, al solo fine di recuperare l’imposta; l’imponibile è stato indicato unicamente nel rispetto della circolare 17 aprile 2000, n. 77/E, paragrafo 3, senza che ciò possa considerarsi una rinuncia al relativo credito rimasto insoddisfatto, che pertanto viene confermato».

Solitamente quando viene emessa questa nota di accredito, il credito verso il cliente (originariamente registrato in dare di stato patrimoniale, sia per l’importo dell’imponibile che per l’Iva) è già stato portato a perdita su crediti e dedotto con le regole dell’art. 101, Tuir . Quindi, se nella nota di accredito sono evidenziati sia l’imponibile che l’Iva, le imprese in contabilità ordinaria possono registrarla, inserendo l’importo dell’Iva in dare nel conto «Iva a credito» (ad esempio, per 22), il «credito verso cliente» in avere (per 122) e l’imponibile (di 100) in dare, utilizzando (quindi, stornando) il conto «credito verso cliente». Per chiudere completamente quest’ultimo (rimasto aperto per 22, in avere), è necessario girarlo in avere in un «provento tassato», considerando che quando il credito originario (di 122) era stato portato a perdita, era stato dedotto fiscalmente. In pratica, viene tassata l’Iva che è stata recuperata.

Se «successivamente alla procedura esecutiva, collettiva o individuale, il cedente del bene o prestatore del servizio» recupera, «in tutto o in parte, il credito in precedenza insoddisfatto», dovrà «provvedere ad effettuare, in relazione all’importo recuperato, una variazione in aumento in rettifica di quella in diminuzione a suo tempo operata» (C.M. 17 aprile 2000, n. 77/E, paragrafo 3).

 

Approfondimento dello Studio De Stefani all’articolo di Luca De Stefani su Il Sole 24 Ore del 4 maggio 2017

 

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