Tutte le regole per Imu e Tasi – Eredità e imposte, vale la data della successione – Retroattività degli effetti

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L’eredità si acquista con la sua accettazione, ma l’effetto di quest’ultima risale al momento nel quale si è aperta la successione, quindi, retroattivamente al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto (articoli 459 e 456, Codice civile). A prevederlo, in generale, è il Codice civile e considerando che nella normativa dell’Imu e della Tasi non vi sono regole particolari che disciplinano l’eredità, anche per questi tributi si applicano le regole del Codice civile, che prevedono che il trasferimento dei diritti reali pervenuti per successione opera, in via retroattiva, dalla data di apertura della successione e non dal momento di presentazione della denuncia di successione. Considerando che il diritto reale si trasferisce dal momento della morte, è questa la data a partire dalla quale è dovuta l’Imu e la Tasi. Possesso dei beni L’erede dell’immobile, comunque, è tenuto a pagare effettivamente i tributi sullo stesso solo se accetta l’eredità e deve considerare che se è già in possesso degli stessi, ad esempio, perché conviveva con il de cuius nell’immobile, è considerato erede puro e semplice se entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità non fa l’inventario (articolo 485, Codice civile). Più eredi Se si è in presenza di una pluralità di eredi, con più abitazioni nell’asse ereditario, singolarmente adibite ad abitazione principale di ognuno di essi, e non viene effettuata la divisione ereditaria, tutti gli eredi diventano proprietari, pro quota e pro indiviso, dell’intero compendio immobiliare. Con la conseguenza, che l’esenzione dall’Imu e dalla Tasi per l’abitazione principale si applica solo sulla porzione di proprietà dell’erede che vive nell’immobile con la sua famiglia. La restante quota di proprietà, invece, è soggetta alle due imposte. In questi casi, quindi, conviene procedere alla divisione dell’eredità. In questa maniera, se con la divisione ciascun erede risulta assegnatario e unico proprietario dell’abitazione in cui risiede, si applica l’esenzione a tutti i fabbricati. La divisione, se effettuata senza conguagli, ha effetti retroattivi fino alla data di apertura della successione. Diritto di abitazione al coniuge Quando cade in successione la casa che costituiva la dimora familiare, sorge il diritto di abitazione del coniuge superstite, ai sensi dell’articolo 540 del Codice civile. In particolare, a favore del coniuge (anche quando concorrono altri chiamati) è riservato il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Questi diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli. Quindi, il coniuge è l’unico soggetto passivo e scatta l’esenzione in presenza dei requisiti dell’abitazione principale. In particolare, infatti, chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia. Al di fuori della successione, il contratto che costituisce il diritto di abitazione deve essere stipulato a pena di nullità per atto pubblico o per scrittura privata, autenticata o meno (articolo 1350, Codice civile). Ai fini della pubblicità e dell’opponibilità ai terzi, però, il contratto va trascritto nei registri immobiliari (articolo 2643, Codice civile) e la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (articolo 2657, Codice civile). Ciò nonostante, si segnala che parte minoritaria della dottrina attribuisce rilevanza fiscale anche ai contratti di costituzione del diritto di abitazione, stipulati tramite scrittura privata non autenticata, basandosi anche sulla circolare 27 maggio 1994, n. 73/E, risposta 2.3.1, relativa alla possibilità di imputare il reddito dei fabbricati al promissario acquirente di un contratto preliminare (prima dell’atto notarile), e sulla sentenza della Cassazione 4 ottobre 2000, numero 13174. Sul tema sarebbe auspicabile un chiarimento delle Entrate.

 

Approfondimento dello Studio De Stefani all’articolo di Luca De Stefani su Il Sole 24 Ore del 31 maggio 2017

 

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